“Telelavoro e Pubblica Amministrazione”

La prospettiva italiana nell’esperienza

ITALTEL

T. Baroni – M. Mapelli

[Premessa]

Crediamo sia una sensazione comune a quanti si occupano dell’argomento da tempo e in modo non occasionale: più se ne parla, più la nozione stessa di telelavoro sembra farsi sfuggente, dilatandosi e sfrangiandosi oltre le pur ampie definizioni che ne sono state date nel tempo e i tentativi di classificazione in precise tipologie.

Prendiamo questa definizione (utilizzata in un quaderno che la Italtel ha recentemente dedicato al tema: Telelavoro e teleimpresa): “Forma flessibile di lavoro che coinvolge una vasta gamma di attività svolte in luoghi spazialmente separati dalle sedi aziendali, basata sull’elaborazione elettronica delle informazioni e sull’utilizzo di reti di telecomunicazione per collegare lavoratori e imprese”.

Ci pare che essa colga abbastanza bene la molteplicità di situazioni che già oggi si presentano nelle organizzazioni in cui l’information technology è utilizzata in modo sistematico. Se da un lato, infatti, comprende le tipologie che siamo da tempo abituati ad associare al telelavoro – quali homework, satellite office, telework center, mobile work –, dall’altro le supera identificando, in qualche modo, un continuum di modalità pratiche basate su interazioni remote dei lavoratori, fra di loro e con l’organizzazione aziendale. 

Anch’essa, tuttavia, appare già in qualche modo datata per il riferimento a quelle “sedi aziendali” in cui sembra ancora identificarsi l’essenza stessa dell’impresa, ignorando l’emergere di quelle aziende virtuali che si vanno affermando grazie all’esistenza delle reti planetarie e per le quali la delocalizzazione è praticamente totale.

La esplosione delle information and communication technologies, e in particolare della internet technology, è, anche dal nostro punto di vista, il dato più rilevante degli ultimissimi anni. Lo si può facilmente verificare nei sempre numerosi convegni dedicati al telelavoro: mentre nel passato (comunque recente) l’attenzione era prevalentemente rivolta agli aspetti organizzativi e normativi, oggi sono gli aspetti tecnici e le nuove possibilità che si sono aperte, o si apriranno a breve, a fare aggio sulle prime e rivelare le prospettive di grande flessibilità cui si fatto cenno all’inizio.

Questo significa che disponiamo già delle “autostrade informatiche” e che quanti di noi fanno un lavoro di tipo intellettuale sono ormai affrancati dalla schiavitù della sede di lavoro? Oppure che le aziende si apprestano a sgombrare la maggior dei loro uffici e ad utilizzare le prestazioni di persone – dipendenti e non – che operano dal loro domicilio, da centri attrezzati e diffusi sul territorio o che si muovono sul territorio restando sempre in contatto con la “base” e i colleghi telelavoratori?

Beh, no, non è proprio così. E non sembra che questa possa essere, a breve, la situazione normale, nemmeno per le aziende che non sono legate alla fabbricazione di oggetti fisici.

Qual è allora lo stato dell’arte, parlando di telelavoro, in una azienda hi-tech, come l’Italtel, che progetta e produce sistemi di telecomunicazioni, ha oltre 3.000 addetti ad attività di ricerca e sviluppo, centinaia di lavoratori che svolgono attività di service su tutto il territorio nazionale,e che possiede da anni reti informatiche interne che servono e collegano le diverse sedi e hanno via via amplificato le possibilità di interazione a distanza?

Chi svolgesse oggi una indagine all’interno, anche limitata a dirigenti e quadri, trarrebbe probabilmente la conclusione che il telelavoro è sostanzialmente estraneo alla nostra organizzazione, e che comunque pochi hanno tuttora sull’argomento una conoscenza o un interesse specifico. In particolare, non sembra emergere un reale “bisogno” di telelavoro, avvertito come tale dall’organizzazione aziendale in relazione a qualcuno dei propri obiettivi, quali la produttività, l’efficienza, la riduzione dei costi, il mantenimento o l’acquisizione di professionalità critiche. 

Eppure, se sono vere le considerazioni generali appena fatte, esse lo sono anche per l’Italtel, così come è vero che da oltre tre anni è in atto una sperimentazione di telelavoro domestico, anche se limitata e forse più nota all’esterno che all’interno.

Con questo scritto ci proponiamo pertanto, da un lato, di fornire un contributo alla conoscenza dell’architettura e delle potenzialità delle reti interne (o “aziendali” in senso lato, valide cioè per qualsiasi organizzazione, compresa la pubblica amministrazione) e quindi delle diverse manifestazione di telelavoro che le stesse portano con sé; dall’altra di esporre le caratteristiche e le risultanze dell’esperimento di homework in atto.

1. Le “technicalities” e le conseguenze

L’esperienza di telelavoro domestico in Italtel, attuata nell’ambito delprogetto Worknet approvato dalla Comunità Europea nel 1994, si caratterizza per il fatto che, per i nostri lavoratori sono “delocalizzati” nelle proprie abitazioni senza riassetti organizzativi mantenendo mansioni e compiti: nella aleatorieta’ delle semantiche organizzative”(v. le premesse), il telelavoro di Italtel puo’ essere quindi definibile come “lavoro a casa”.

Infatti, diversamente da altre esperienze che ricadono sotto la vasta accezione di telellavoro (come la remotizzazione del personale di help desk, la creazione di Call center specializzati, oppure la dotazione di ufficio mobile al personale di vendita, per definizione NON presente assiduamente presso il luogo di lavoro) le attivita’ sono rimaste le stesse che venivano svolte sul luogo di lavoro e questa “continuità” ha portato ad interessanti osservazioni di tipo non solo tecniche ma socioorganizzative,come trattato soprattutto nella seconda parte.

Tecnicamente parlando, presso le abitazioni e’ stata predisposta una postazione casalinga standard (PC+telefono+fax) che permettesse al telelavoratore di operare localmente in modo autonomo e di comunicare con l’azienda; utilizzando le preesistenti strutture della Rete di Comunicazione (v. 1.1) ci (e ovviamente l’effetto traino di Internet si e’ fatto sentire)si e’ molto concentrati sulle modalita’ di connessione, accesso e controllo sicurezza con un sistema (GUARDIAN) dalleforti caratteristiche “proprietarie”.

Dal 1995 poi, l’esplosione delle internet technologies, a cui Italtel e’ particolarmente sensibile visto il ruolo giocato nel settore delle telecomunicazioni, ha aperto tutta una serie di nuove opportunità tecniche: GUARDIAN-2e’ diventato a tutti gli effetti un sistema assolutamente analogo a quelli in dotazione agli ISP (Internet Service Provider), la rete interna di Italtel è stata fatta migrare rapidamente ad Intranet (anche qui facilitata dalle precedenti infrastrutture), i modem di accesso e quelli casalinghi sono stati portati ad ISDN, la dotazione di PC e’ stata irrobustita ed integrata dal browser standard Java-enabled per l’accesso a basi di dati e sistemi informativi aziendali.

A questo punto è disponibile una maggior facilità di utilizzo, la navigazione in Internet (sul canale di interconnessione aziendale), la possibilità di comunicazione contemporanea voce/dati e, non ultima , la maggior velocità (64/128 kbps)consentita da ISDN , con la quale e’ stato possibile condurre anche i primi esperimenti di videotrasmissione.

Il “parco” telelavoratori non si è sostanzialmente arricchito, è però parecchio cresciuto (e ovviamente l’effetto traino di Internet si e’ fatto sentire) il numero di persone Italtel che utilizzanoquesto sistema fuori dall’orario di lavoro e/o fuori sede: per esempio e’ stato possibile organizzare a costi bassi un servizio di accesso al personale in trasfertae addirittura al personale operante all’estero in località (tipiche per Italtel) non particolarmente dotatedisistemi di telecomunicazioni.

1.1, La Rete di Comunicazione – il Sistema Informativo Tecnico–Architettura e caratteristiche

Come gia’ accennato in Italtel era preesistente l’infrastruttura della Rete di Comunicazione della Ricerca e Sviluppo, con le interconnessioni tra tutti i sistemi di elaborazione aziendali nelle unità produttive e tra di esse (v. fig. 1); il che ha consentitodi creare un unico punto di accesso dalle reti esterne, concentrando e semplificando le problematiche di controllo di sicurezza degli accessi e di accounting

La RCRS e’ “datata”: nasce in effetti nel 1983, ma gli obiettivi di allora (fornire una infrastruttura di rete con la quale permettere la comunicazione e l’integrazione tra enti diversi aziendali) mantengono tutta la loro validita’: in effetti la caratterizzazione stessa di Italtel (azienda manifatturiera in un settore hight-tech, con una forte componente di progettisti e tecnici) comportava gia’ allora, e con un certo anticipo, la necessita’ di fornire strumenti di comunicazione informatica (file transfer, email, remote access) tra le diverse realta’ aziendali, perdipiu’ distribuite sul territorio nazionale.

Dal 1991 si e’ cominciato a distribuire lo stesso tipo di prestazione a utenza “clerical”, soprattutto nelle aree di produzione e logistica, e l’automazione della fabbrica di Palermo e’ un eccellente esempio.

Un problema era pero’ costituito dall’eterogeneita’ dei sistemi: l’utilizzo di ambienti IBM, DEC e UNIX (a cui si sono aggiunte le architetture Microsoft),richiedevapero’ la conoscenza di diversi protocolli e strumenti : la SNA di IBM, la DNA di DEC e i sistemi peer-to-peer TCP/IP gia’ in fase di espansione.

Il sistema di controllo accessi GUARDIAN era preesistente alla partenza dell’esperimento in quanto era già in uso per figure professionali “itineranti” (tecnici di assistenza , progettisti in intervento presso il cliente) e forniva gia’ la possibilita’ di emulazione terminale e file transfer su qualche centinaiodei sistemi in Rete. 

Nel 1994, allo startup della sperimentazione, tutti i siti Italtel erano quindi gia’ connessi tra loro ed era gia’ possibile da un unico punto di accesso avere la visibilita’ sulla quasi totalita’ dei Sistemi Informativi.

fig. 1

Il “telelavoratore” Italtel differiva ovviamente dagli utenti preesistentiper la variante agli istituti contrattuali (un apposito contratto comprendente diverse clausole “di salvaguardia”, tipo …XXXXX. è stato stipulato con l’azienda) e per la conseguente maggior garanzia di funzionamento e presidio che veniva richiesta da questa attività ”formalizzata”. Ancora adesso in Italtel , di fronte alle circa 200 utenze che usano le stesse modalità di accesso remoto,i telelavoratori propriamentedetti sono solo i circa 15 che hanno stipulato il contratto che gli consente l’attività lavorativa presso il proprio domicilio con la presenza in azienda solo un giorno alla settimana, ma mentre agli altri il servizio viene offerto come prestazione aggiuntiva, per questi ultimi diventa un fattore imprescindibile per l’ottenimento della prestazione.

Il GUARDIAN, realizzato internamente, era costituito da:: 

nbatteria di modem su linea telefonica (PSTN) con Numero Verde eautomatic callback (quindi con i costi di comunicazione a carico della Societa’), 

nsoftware di riconoscimento utente che consente l’accesso, tramite “password” e controllo del chiamante, a qualsiasisistema di elaborazione in azienda

ndisponibilita’ di tutti i protocolli, preconfigurati e sincronizzati con il software del PC.

La postazione “casalinga” era compostada PC standard (486 per l’epoca) , stampante, fax, modem a 19.2kbps e linea telefonica a carico della azienda. Il software era a standard aziendali, piu’ la suite di protocolli e strumenti per la connessione. 

Le funzioni svolte erano la creazione di documenti, l’aggiornamento di database, lo sviluppo di software e il testing di apparecchiature in rete.

La prima versione di GUARDIAN, realizzata con tecnologie e protocolli proprietari, consentiva l’accesso solo in modalità dati (quindi terminale remoto, file transfer, posta elettronica): il telelavoratore per comunicare telefonicamente doveva disconnettersi dal modem e quindi doveva sequenzializzare le operazioni..

–1.2 Intranet e Internet I numeri e le modalità di utilizzo della rete 

Nel 1994 Italtel decise di utilizzare al massimo le Internet technologies: furono cosi’ impostate l’Intranet aziendale (i4web), con la definizione dei servizi relativi, in particolare l’email., la pubblicazione di documenti e l’accesso ai DB aziendali, anche sui sistemi legacy (v fig.2)

L’ obiettivo era di rendere tute le risorse dell’Information Technology aziendale disponbili da un unico punto di accesso: la Rete, gia’ in fase di migrazione verso TCP/IP e’ stata ampiamente “bonificata” utilizzandostandard di addressing e naming conventions, realizzando “ïsole”dipartimentali e sviluppando un insieme di regole (netiquette) per la presentazione dei dati sulla rete in modo da essere accessibile al browser standard caricato su ogni postazione di lavoro 

fig.2

A tutt’oggi sono in Rete circa 8000 PC, che accedono direttamente a dati disponibili su 40 webservers “ufficiali” (piu’ circa 150 altri), con 60000 pagine HTML, a circa30 GB di dati “navigabili” (compresi i CDROM online), all’accesso a circa un centinaio di siti Internet company-compliant e ad una quindicina di DB gia’ abilitati(piu’ tutti quelli accessibili tramite gli emulatori Java-enabled per terminale tipo 3270 e VT100).

In fig.3 i dati di accesso al server principale, che contiene tutte le directories (telefono, indirizzo di email, mappa dei servers,…) e le informazioni sugli standard (oltre ad un certo numero di utilities).

fig.3

Conseguentemente e’ stato rivisto il sistema di controlli accessi, integrato nel firewallInternet e rinominato GUARDIAN 2; le caratteristiche principali sono (v. fig.4):

nl’integrazione nel PABX aziendale, con l’aumento del numero degli accessi contemporanei, con la selezione automatica a rotazione, con i costi a tariffe quadro.

nI modem sono a 56 kbps (anche se vengono utilizzati per la maggior parte a 28.8 kbps)

ntutta la tecnologia di accesso e’ PPP, il software di riconoscimento utenti e’ stato integrato con le Common Directories interne (via LDAP).

nsono stati prima testati e poi rilasciati gli accessi ISDN

ne’ stata anche predisposta la stazione mobile per i “nomadici” con accesso via cellulare GSM: 

nogni mese viene prodotto automaticamenteil rapporto di utilizzo per singola linea.

fig.4

La postazione casalinga e’ stata parimenti rivista:

-il PC standard ha una CPU pentium, Ram a 32 MB, 2 GB di hardisk,

-la linea e’ stata upgradata a ISDN 9e modem relativo) con 64 kbps per trasmissione dati(128 kbps per i piu’ “smaliziati”).

-Il software che esegue la chiamata e il relativo riconoscimento e’ stato integrato nel browser 

-tutti i telelavoratori hanno anche i diritti di accesso alla full-Internet sul canale aziendale

In questo modo il telelavoratore ( e gli altri, che pero’ hanno ancora il modem analogico) accede alla Rete aziendale con le stesse funzioni del posto di lavoro in ufficio, con al sola differenza della diversa prestazione tra l’ ”attacco” ethernet e il collegamento ISDN.

Pero’ anche cosi, oltre al mantenimento delle precedenti funzioni ( l’emulazione di terminale, il file transfere laposta elettronica sono state portate in modalita’ Internet)sono stateintrodotte nuove funzioni, quali la condivisione di documenti, il web-publishing, la “navigazione” Internet/Intranet. Interessanti i primi sperimenti di videoconfernze da PC a PC o utilizzando un “reflector” interno. Sicuramente ha avuto molto successo la possibilita’di telefonare e interagire via computer col collega in contemporanea.

1.3I comportamenti e i costi

Già in questa prima fase “tecnica’ sono state possibili le prime osservazioni “organizzative”: l’importanza del “capo” nell’organizzazione e nel controllo di tale nuova modalita’, la necessita’ di rientro periodico in azienda per la sincronizzazione con i gruppi di lavoro, lanecessità comunque di mantenere rapporti “socializzazione” e di coinvolgimento nella vita aziendale.

Qualche considerazione è stata possibile anche dal punto di vista economico, tecnico e comportamentale:

- dal punto di vista tecnico, forti anche delle precedenti esperienze e della “cultura” di una societa’come Italtel, il problema piu’ sentito e’ stata la necessita’ di prevedere un forte servizio di supporto, dall’help desk per la risoluzione dei problemisoftware alla previsione di manutenzione hardwaredegli apparati e di approvvigionamento deimateriali di consumo: ovviamente da questo punti di vista il telelavoratore non gode della sinergia del luogo di lavoro e la lontananza puo’ produrre frustrazioninon da poco, con la conseguente perdita di motivazione. 

- i costi della comunicazionesono un punto dolente: sono elevati.Anche in considerazione del fatto chei telelavoratori Italtel sono quasi tutti fuori settore milanese, quindi con i costi della quelli della normale teleselezione, e unaprolungata seduta di accesso remoto interattivo richiede tempi non brevi…. Ci troviamo “bollette” anche dell’ordine dei 16 miolit/anno: questo e’ un tema dove i gestori dei servizi di telecom hanno molto da lavorare (e non solo loro: la “sostenibilita’della sviluppo” andrebbe sostenuta …)

-- e’ anche interessante notare come, dovuto anche al numero limitato di telelavoratori, emergono le diverse individualita’: per esempioil telelavoratore maschio che sente di più la lontananza dall’azienda come momento sociale (oltreché lavorativo); oppure l’ovvio (ancorche’ imprevisto)sviluppo del lavoro “notturno” oppureper altri versi la richiesta di accedere anche dalla seconda casa che ha portato a dover considerare la “formula weekend”.D’altra parte, avendo stipulato una modalita’di lavoroinsensibile agli orari aziendali era il minimo che potesse capitare …

Un’altra osservazione: non ci sono stati problemi per la “tracciatura” eseguita dall’azienda sulle attivita’ da remoto: forse facilitati anche dalla professionalita’ degli interessati, e’ stato immediatamente compreso che questa veniva e viene eseguita solo per motivi di security (impedire gli accessi a non-Italtel)e capacity planning, senza nessuna intenzione di controllo delle attivita’ lavorative

1.4 I lavoratori Italtel fra “navigazione” e “telelavoro”

Come gia’ ricordato piu’ volte, la popolazione di utenti di questo tipo di servizio e’ molto superiore a quella dei telelavoratori in senso stretto. Le funzioni che hanno a disposizione i due gruppi di utenti sono pero' identiche , per cui l’analisi deiprofili di utilizzo dei due campioni si presta ad alcune interessanti considerazioni.

Prima di tutto, vengono rilevati per ogni connessione ila durata e il traffico sulla linea: e’ possibile abbinare la connessione al singolo utente perche’ e’ obbligatorioil riconoscimento, ma non viene effettuata alcuna analisi dei contenuti.

In termini totali abbiamo circa 900 connessioni/mese a buon fine, di cui circa 250 per i telelavoratori., per circa 350 h/mese di collegamento.

Per esempio il telelavoratore(v. fig. 5) effettuamensilmente un numero molto maggiore di connessioni (ovviamente) per periodi mediamente molto piu’ brevi: sfrutta il tempo macchina locale per certi tipi di elaborazione e, contando su un sistema di accesso piu’ garantito, si puo’ permettere di sconnettersi e riconnettersi tutte le volte che ne ha voglia. Gli altri sfruttano di piu’ ilbuon esito del tentativo di connessione (se poi sono all’ estero, in condizioni non proprio favorevoli, tendono a massimizzare l’utilizzo)

fig 5.

Interessanti considerazioni derivano poi dall’analisi dei “traffici”: qui abbiamo considerato il rapporto KB-inviati/KB-ricevuti come paradigma di comportamenti non solo aziendali: come gia’ messo in evidenza, la Rete e’ un’Intranet molto sviluppata,e fornisce servizi assolutamente simili a quella dell’Internetpubblica(ovviamente i contenuti sono pero’aziendali) quindi browsing sulla documentazione, utilities di supporto, posta elettronica, newsgroups, bacheche e qualche timido tentativo di funzioni multimediali: bene, per gli utenti non in telelavoro il fattore I/O si aggirano intornoa quell’ 1:10 prima teorizzato poi riscontrato per gli utenti di Internet pubblica..

In effetti unvalore altoe’ sintomo diuna modalita’ di utilizzo passivo (come l’utente della televisione che schiaccia il bottone del telecomando) con poca interattivita’): i nostri utenti, con applicazioni, sono intorno a 1:6 medi, e i telelavoratori in particolare intorno a 1:4, e soprattutto e’ interessante il fenomeno visto temporalmente: un nuovo utente (telelavoratore o no) inizia con valori alti che si abbassano col tempo, sintomo di un gradimento e di una consuetudine alll’utilizzo che porta ad un maggior sfruttamento delle possibilita’ offerte dal mezzo, che porta ad una maggiore proattivita’ complessiva (per esempio, non solo a leggere online un email ma a rispondere subito).

I costi, come gia’ detto, ne risentono, ma soprattutto per la “bolletta” telefonica: e anche qui le considerazioni sul ritorno dell’ínvestimento andrebbero fatte caso per caso: intanto un tempo maggiore di connessionee’ di per se sintomo di utilizzo: che avvenga in coerenza con i fini aziendali e’ responsabilita’ del capo di controllare; poi possiamo citare esempi come quelli di connessioni da paesi islamici non precisamente all’avanguardia (e non solo dal punto di vista tecnologico) dove questa possibilita’e’ praticamente la sola modalita’di collegamento dati per accedere e/o mandare informazioni in tempi rapidi.

Ma torniamo all’esperienza di telelavoro, vista ora come momento dell’organizzazione.

5.Lasperimentazioneditelelavorodomesticoinatto

5.1.Come nasce homework ’94 Gli obiettivi

La sperimentazione di homework tuttora in corso non può essere ricondotta a una decisione improvvisa, presa quando, nel febbraio del ‘94, la Italtel ha aderito al Progetto Worknet. Come si è visto, esistevano già in azienda situazioni riconducibili al telelavoro in senso lato, le condizioni tecniche stavano evolvendo ed offrivano nuove concrete possibilitàe c’era un interesse specifico, almeno di tipo teorico, nelle funzioni aziendali istituzionalmente rivolte all’innovazione.

Era però necessario, in primo luogo, che si creassero le condizioni e i tempi fossero maturi: questo è avvenuto sia per effetto della quasi completa numerizzazione della rete telefonica italiana e dei nuovi servizi che questa rende possibili, sia come conseguenza delle trasformazioni interne che tecnologia e mercato hanno imposto all’Italtel. Negli anni ‘70 questa era ancora un’azienda con oltre il 75 per cento del personale impegnato in attività di produzione; oggi è una realtà composta in prevalenza da impiegati, con molti diplomati e laureati, e con oltre 3.500 addetti alla ricerca e sviluppo. 

Occorreva poi un’occasione, che si è presentata con il Progetto Worknet, coordinato dalla ASTER[1] di Bologna ed approvato dalla Commissione delle Comunità Europee, DG XIII, all’interno dell’iniziativa “Accompanying measures and preparatory actions in the areas of advanced communications and technology developments”. L’Italtel si è così impegnata, insieme ad alcuni altri subcontractors italiani e francesi, a progettare, realizzare e valutare un esperimento pilota di telelavoro, e, nel suo caso particolare, di homework.

L’obiettivo principale dell’adesione al progetto era ovviamente quello di verificare se e come la cosa potesse “funzionare”, con particolare riguardo ai benefici che potevano effettivamente venire dal telelavoro, con particolare riguardo a:

a)miglioramento dell’efficienza in termini di:

-miglioramento della produttività

-riduzione dei costi

-riduzione dei livelli gerarchici

-aumento della flessibilità

a?miglioramento nell’utilizzo delle risorse umane e della competitività sul mercato del lavoro:

-possibilità di attrarre segmenti della forza lavoro altrimenti inaccessibili (lavoratori residenti in zone isolate)

-possibilità di trattenere personale pregiato che potrebbe altrimenti dimettersi per ragioni personali (familiari, in particolare).

Ma c’è un’altra motivazione che l’Italtel non poteva ignorare: la diffusione del telelavoro anche nel nostro paese crea le premesse per nuove opportunità commerciali nello specifico settore di attività.

Le attività di progettazione e di preparazione della sperimentazione - le sole ad essere finanziate dalla Comunità insieme con quelle successive di sostegno e supervisione della stessa - hanno quindi occupato per alcuni mesi le funzioni aziendali interessate, in primo luogo quella del personale, alla quale spettava, oltre che definire le condizioni “normative”, il compito più delicato: quello di convincere il management della aree aziendali potenzialmente interessate.

Le prime reazioni (con qualche eccezione) non sono state incoraggianti. I responsabili delle varie Business Unit su cui l’azienda è articolata erano sì interessati ai benefici potenziali del telelavoro in termini di flessibilità, produttività e costi, ma ancor più si mostravanopreoccupati per i problemi organizzativi e culturali che la sua introduzione avrebbe inevitabilmente portato con sé. 

Una reazione “classica”, forse scontata, anche in aree che hanno l’innovazione come oggetto principale della loro attività.

Poiché la sperimentazione avrebbe comunque riguardato un numero piuttosto limitato di persone, la scelta è stata quella di concentrarsi in poche aree, tutte caratterizzate da professionalità medio-alte, utilizzo normale di mezzi informatici, job segmentabili e definibili a livello individuale anche quando inseriti in programmi di lavoro collettivi.

Ai lavoratori di tali aree, d’intesa coi capi, è stato quindi presentato il progetto, richiedendo la disponibilità a diventare, anche provvisoriamente, dei telelavoratori. Dagli oltre cento lavoratori interpellati è quindi emerso un pacchetto di candidature, nel quale, sempre con il consenso e l’intervento dei capi diretti, sono stati individuati i 13 lavoratori che hanno partecipato all’esperimento pilota.

Questi, in alcune “istantanee”, i dati più significativi sui 13:

a?dati anagrafici

·Donne n. 5: tutte laureate, tutte sposate, 3 con figli

·Uomini n. 8: metà laureati e metà diplomati, un solo celibe, 5 hanno figli

·Età media:38 anni (33 se si esclude il più anziano che ne ha 56)

·Anzianità media in Italtel: 12 anni (3 la minima e 24 la massima)

·Inquadramento: 2 quadri, gli altri impiegati di alto livello (7ª e 8ª categoria).

b?aree di attività e mansioni

·Ricerca Centrale- 4 Progettisti prestazionali[2]

- 1 Progettista metodi matematici e di simulazione

·Laboratorio SW Sistemi Privati:- 3 Progettisti software

·Sistemi Informativi- 2 Analisti di office automation

- 1 Analista di procedure amministrative

- 1 Analista programmatore

·Strategie, Studi e Marketing:- 1 Specialista studi e analisi tecnico-commerciali.

c?dislocazione territoriale

Sulle postazioni di lavoro messe inizialmente a disposizione dei telelavoratori e sulla loro successiva evoluzione si è già detto sopra.

5.2.Una scelta condivisa

Per chi opera nella funzione del personale l’idea stessa di telelavoro provoca – o almeno provocava – una ridda di interrogativi teorici e di problemi pratici che, di primo acchito, appaiono, se non insormontabili, sicuramente intricati e potenzialmente dirompenti. Basta richiamare alla mente la congerie di norme e istituti, legali e contrattuali, che ogni giorno trovano applicazione nel rapporto di lavoro e che tanto spesso danno adito a dubbi interpretativi, a soluzioni di ripiego,a prassi discutibili, a vertenze piccole e grandi, per avere almeno un attimo di sgomento di fronte alla prospettiva di introdurre questa bella novità per cui i lavoratori diventano in qualche modo degli “esterni”, o addirittura degli “invisibili”.

In fondo anche l’atteggiamento tenuto fino ad allora dal sindacato, molto circospetto se non apertamente negativo, confermava la sensazione che affrontare concretamente la questione del telelavoro volesse dire – a parte i dubbi sui costi e sui benefici – andare in cerca di guai. Ma, forse, le attese difficoltà sindacali avevano fornito anch’esse un “alibi”, tanto che allora ci fu chi disse e scrisse, dopo aver parlato con qualcuno dell’azienda, che l’Italtel avrebbe voluto avviarsi già da tempo sulla strada del telelavoro, ma era stata bloccata dall’espressa contrarietà dei sindacati. La verità, più banalmente, è che il problema non era mai stato affrontato in termini concretamente propositivi, ma solo come ipotesi discusse in sedi informali.

Ma quando, come già detto, i tempi sono divenuti maturi e non ci si è più chiesti se fare o meno del telelavoro, ma come farlo, e si sono affrontati tutti quegli aspetti che sembravano tanto problematici, si è giunti abbastanza rapidamente alla conclusione che la soluzione c’era, e nemmeno tanto complessa.

Certo, parliamo di una sperimentazione limitata, che non comporta rischi rilevanti, né per l’entità delle risorse impegnate, né per le possibilità di violare qualche norma o di sollevare conflitti sindacali. Inoltre la cosa riguarda, come s’è visto, personale ad elevata qualificazione, abituato ad operare su attività e in ambienti in cui l’efficienza e l’efficacia è data soprattutto dall’apporto personale, anche se spesso in collaborazione con altri, e dall’accesso a certe informazioni attraverso certi mezzi.

La scelta è stata pertanto di tipo minimalistico: mettere cioè a fuoco solo quelle regole che non possono non essere toccate dalla peculiarità del telelavoro, e cioè dalla specificità del luogo della prestazione, apportandovi i pochi adeguamenti indispensabili e lasciando tutto il resto inalterato, se non per alcune modalità di interazione tra lavoratore e azienda, facilitate comunque dalle possibilità di collegamento date dai mezzi in dotazione.

Una volta individuati i partecipanti, perciò,è stato affrontato anche il discorso con la rappresentanza sindacale. In risposta sono venuti interesse e disponibilità immediati. I tempi, insomma, erano maturi anche per il sindacato, e non solo nel giro dei convegni e delle tavole rotonde, ma anche in “fabbrica” (dopo l’accordo Italtel, uno dei primi in assoluto, altri ne sono venuti a ruota, fino a quelli più recenti, riguardanti non solo singole aziende, ma intere categorie).

Il confronto è quindi proseguito su di un piano di trasparenza e con il comune intento di realizzare comunque la sperimentazione, tant’è che solo dopo il suo avvio le parti hanno ritenuto opportuno formalizzare le intese già intervenute in proposito. I primi telelavoratori, infatti, sono “rimasti a casa” da dicembre ‘94, mentre l’accordo sindacale è del 17 gennaio ‘95.

In esso ci si dà atto del comune interesse per il telelavoro e per la sua possibile introduzione in Italtel in via permanente, e quindi per una sperimentazione effettuata “senza particolari vincoli normativi ed operativi che ne possano compromettere o predeterminare il risultato”. In pratica, poiché le preoccupazioni maggiori la Rsu le ha espresse per le condizioni professionali e di carriera dei lavoratori coinvolti e per il possibile isolamento rispetto all’ambiente aziendale, l’accordo ha assicurato la partecipazione dei delegati alle verifiche periodiche previste per i lavoratori stessi e per i responsabili delle loro aree di attività e la possibilità di utilizzare i mezzi di collegamento per inviare ai telelavoratori anche le consuete informazioni sindacali.

Azienda e Rsu, infine, si sono impegnate, ad esaminare l’opportunità di proseguire ed ampliare l’iniziativa e, in caso affermativo, a raggiungere un accordo quadro “che ne definisca termini e condizioni per una compiuta regolamentazione della materia”. 

Quanto alle particolari condizioni valide per la sperimentazione, ad ogni telelavoratore è stata consegnata una lettera - recepita dall’accordo sindacale - per la loro accettazione. Questi i punti più significativi:

·possibilità di interrompere la sperimentazione in qualsiasi momento, sia da parte del lavoratore che dell’azienda;

·rientri periodici in azienda, con frequenza da programmare con il diretto superiore;

·assegnazione delle attività a cura del superiore diretto;

·impegno del telelavoratore ad utilizzare i mezzi a disposizione esclusivamente nell’interesse dell’azienda e a rispettare le norme di sicurezza;

·orario di lavoro: di durata normale, la sua distribuzione nell’arco della giornata è a discrezione del telelavoratore; reperibilità di almeno 2 ore giornaliere, da concordare nell’ambito dell’orario normale, per comunicazioni e contatti da parte dell’azienda;

·esclusione di prestazioni straordinarie, notturne e festive, salvo il caso di richiesta dei superiori per prestazioni in azienda o presso terzi;

·applicazione, per tutto il resto, dei contratti e dalle norme aziendali vigenti, con salvaguardia dei diritti professionali e sindacali e con accesso ai servizi aziendali nei giorni di presenza e, comunque, in caso di bisogno.

In considerazione delle specifiche condizioni (in particolare dell’occupazione di spazio presso il domicilio, del consumo di energia elettrica e, soprattutto, della rinuncia al servizio mensa gratuito, tenuto conto anche delle minori spese per trasporti ed altro) agli interessati è stata assicurata, per la durata della sperimentazione, una cifra forfetaria onnicomprensiva.

Due ulteriori questioni meritano almeno un cenno. Innanzitutto quella, arcinota, del controllo a distanza dell’attività, vietato dello Statuto dei Lavoratori, fattispecie che siamo convinti non ricorrere nella concreta esperienza avviata da Italtel. Il nostro homeworker si collega sì spesso con i sistemi informativi aziendali tramite la sua postazione casalinga, ed esiste certamente la possibilità – anzi, per ragioni di sicurezza, la necessità (v. quanto detto a proposito del sistema GUARDIAN) – di controllare tali collegamenti: la stessa cosa avviene però, sostanzialmente, per tutti i colleghi che operano con postazioni, del tutto equivalenti dal punto di vista funzionale, collocate sulle loro scrivanie in ufficio, e, in ogni caso, la misura, quantitativa e qualitativa, dell’attività svolta (non) è funzione si’ diretta del numero e della durata dei collegamenti, ma allo scopo di garantire il servizio e il relativo capacity planning, senza nessuna intrusione sui contenuti. A ciò si aggiunga che il controllo che può essere effettuato con questo mezzo non ha niente a che vedere con quelli in grado di violare la privacy e la dignità del lavoratore ed ai quali pensava il legislatore.

L’altra questione, infine, riguarda la mancanza di norme di legge che regolano il telelavoro. Trascurando la diatriba sulla sua qualificazione, e in particolare l’applicabilità delle norme sul lavoro a domicilio (come già detto, in assenza di altre certezze, consideriamo i telelavoratori come dipendenti il cui rapporto di lavoro è sostanzialmente regolato come quello di tutti gli altri), il problema che abbiamo invece affrontato è quello degli enti previdenziali e di controllo, che in alcune realtà sappiamo aver sollevato difficoltà. Per parte nostra, sulla piazza milanese abbiamo invece riscontrato una buona apertura e flessibilità: quella che ci è stata richiesta, dall’Ispettorato e dall’Inps, è stata una semplice comunicazione in merito alla sperimentazione e al personale interessato. 

5.3. Un tentativo di bilancio

Esperienza limitata, quella che presentiamo: per il numero dei partecipanti, la varietà delle loro caratteristiche professionali, la tipologia dei mezzi impiegati, la durata e per molti altri aspetti. Inevitabile, quindi, che anche i risultati finora verificati debbano essere presi con molta cautela, con tutti i “limiti” del caso, appunto.

Un primo risultato è tuttavia innegabile: il telelavoro, in Italtel, non è più, da alcuni anni, una suggestiva ipotesi, un progetto a futura memoria o il pallino di un paio di ingegneri un po’ fissati, ma una (piccola) realtà che c’è e che, particolare tutt’altro che irrilevante, ha fatto e continua a far parlare di sé.

Al di là di questa certezza, ci sono le impressioni e le risposte dirette dei tredici lavoratori, quelle dei loro sei capi, le valutazioni degli esperti che hanno il necessario supporto tecnico e dei controller che valutano i costi di avvio e di gestione, le sensazioni degli uomini del personale e dei colleghi degli interessati. Nel loro insieme ci hanno dato indicazioni comunqueutili, purché non si pretenda di attribuire loro validità generale. 

Il primo dato che è emerso con chiarezza già nella prima fase, e che vale sia per i diretti interessati che per i loro capi, è l’elevato livello di soddisfazione complessiva per la sperimentazione e la richiesta di proseguirla. 

Dei 13 telelavoristi, 9 si sono dichiarati “molto soddisfatti”, 3 “parzialmente soddisfatti” e uno solo “insoddisfatto” (sarà infatti l’unico a non voler proseguire la sperimentazione dopo i primi sei mesi[3]). 

Tutti i 6 responsabili si sono a loro volta dichiarati soddisfatti del lavoro svolto dai telelavoristi e hanno auspicato la prosecuzione del programma.

I fattori di successo dell’iniziativa, e cioè i principali vantaggi del telelavoro, sono stati così individuati, in ordine decrescente di importanza, dai diretti interessati:

TelelavoratoriResponsabili.

• aumento della qualità del lavoro svolto• aumento della produttività

• miglioramento della qualità della vita• aumento della qualità del lavoro svolto

• miglioramento della vita familiare• maggior coinvolgimento in attività di ve-

• più concentrazione / minori disturbirifica, revisione e controllo del lavoro

• aumento della produttività• maggiore focalizzazione e concentrazione

• benefici per l’ambientein attività di ricerca

• aumento del tempo libero• aumento della disponibilità del lavoratore

• possibilità di analisi più approfondite e• aumento del grado di soddisfazione dei

complete dei progetti assegnatilavoratori

Uno dei principali benefici attesi, il miglioramento delle prestazioni indotto dal telelavoro, ha trovato conferma sia nelle valutazioni dei responsabili che nell’autopercezione dei telelavoratori (12 su 13 hanno risposto positivamente alla domanda specifica su questo punto).

Il beneficio in questione, in coerenza con le caratteristiche del personale interessato e delle attività svolte, viene riscontrato soprattutto nel netto miglioramento della qualità delle prestazioni: 5 responsabili su 6 hanno indicato un incremento medio valutato nel 25% rispetto alle prestazioni precedentemente fornite in azienda. 

Tra i fattori alla base del miglioramento qualitativo della prestazione, quello più importante è, per i telelavoratori, la possibilità di avere una maggiore concentrazione, con minori occasioni di “disturbo”. Con questo termine si intendono sia le inevitabili distrazioni dell’ambiente aziendale, sia l’assegnazione di compiti estemporanei, di supporto o comunque di minor rilievo, che durante la giornata “distraggono” dal compito principale; in questa seconda accezione il termine indica pur sempre prestazioni attese, che possono però essere fornite in modo più concentrato, ad esempio in uno dei giorni di rientro in azienda.

Una riprova viene dai responsabili, la metà dei quali giudica non significative le modifiche all’organizzazione del lavoro indotte dal telelavoro, ma dalle cui risposte emerge come la maggiore formalizzazione degli obiettivi individuale, dei piani di lavoro, dei tempi di avanzamento richiesta dalla presenza dei telelavoratori nelle aree di competenza sia stata essa stessa uno dei principali fattori del miglioramento delle prestazioni complessivamente rilevato.

Tra gli effetti positivi più citati dai telelavoratori c’è il miglioramento della vita familiare, reso possibile dalla maggior quantità di tempo disponibile, se non altro per l’eliminazione dei tempi di percorrenza casa-azienda, e dalla possibilità di gestirlo in relazione alle proprie esigenze. E’ questo un dato nient’affatto scontato, che costituiva anzi uno degli elementi da verificare, considerato che il telelavoro apporta modifiche importanti nel sistema di vita familiare. In questo senso hanno avuto certamente avuto una positiva influenza tanto la relativa disponibilità di spazio (le abitazioni hanno una dimensione media di 105 metri quadri con 3/4 stanze ciascuna), che ha permesso a 7 dei 13 lavoratori di avere un locale riservato al posto di lavoro, quanto il fatto che la maggior parte dei partner svolgono un’attività lavorativa esterna (9 su 12). Appare nondimeno rilevante che solo 3 dei telelavoratori abbiano riscontrato “difficoltà nel gestire le responsabilità nei confronti della famiglia e del lavoro data la minor nettezza della linea di demarcazione tra i due mondi”, e che solo in un caso queste difficoltà si siano tradotte in un aumento della conflittualità tra le mura domestiche.

Ma la sperimentazione, com’è ovvio, non ha messo in luce solo aspetti positivi: sono infatti emerse anche delle criticità e alcune preoccupazioni che non sono ancora state superate, soprattutto da parte dei lavoratori. Queste le risposte più significative emerse dalle interviste, parte delle quali sono anche suggerimenti per il loro superamento dei problemi:

TelelavoratoriResponsabili                                   .

• opportunità di carriera• limitazioni nei collegamenti (voce e dati 

• limitata interazione con i colleghiin contemporanea, oppure da più punti

• rischio di dedicare troppo tempo al geografici)

lavoro• riduzione della comunicazione informale

• rischio di isolamento professionale• necessità di maggior flessibilità nella

• limitazioni dei mezzi a disposizionegestione dei rientri in azienda

• scarsità delle informazioni sulla vita

aziendale

I telelavoratori sembrerebbero dunque soffrire per la ridotta interazione con i colleghi e avvertire un rischio di isolamento, con conseguenti preoccupazioni per le loro future opportunità di carriera. Va però detto che si tratta probabilmente più di una inquietudine di fondo che di un portato dell’esperienza concreta: alle specifiche domande sulle modifiche indotte dal telelavoro nelle relazioni interne, tutti i telelavoratori hanno risposto che il rapporto con i colleghi, a parte qualche inevitabile “aggiustamento” nella fase iniziale, non è né migliorato né peggiorato; 10 su 13, inoltre, non hanno avvertito alcuna influenza nel rapporto con il superiore diretto, e fra i 3 che hanno osservato modifiche, 2 hanno apprezzato i maggiori scambi informativi e la maggiore autonomia nella gestione del lavoro.

D’altro canto, i lavoratori in questione hanno più volte ribadito, anche negli incontri periodici di verifica, l’importanza dei rientri in azienda (la norma è diuna volta la settimana, ma in non pochi casi si passa a due volte, mentre in un solo caso la cadenza è più ampia), hanno auspicato un maggior coinvolgimento dell’azienda per un progressivo ampliamento del numero dei partecipanti alla sperimentazione ed hanno richiesto di accedere regolarmente, attraverso la posta elettronica, alle informazioni di carattere generale sulla vita aziendale. 

L’importanza dei rientri in azienda è stata sottolineata anche dai responsabili, che ne privilegiano però la funzionalità rispetto alle esigenze della specifica attività piuttosto che la frequenza o la regolarità: è stata, ad esempio, ipotizzata una maggior presenza, anche di lunga durata, nelle fasi di start-up dei progetti e di definizione delle specifiche, mentre si può pensare a cadenze molto più rarefatte nelle fasi di sviluppo dei progetti stessi.

Una segnalazione merita il rischio potenziale di “dedicare troppo tempo al lavoro”, avvertita da alcuni dei telelavoratori. Va comunque detto che, in base alle risposte alle domande relative alla strutturazione del proprio tempo lavorativo, più della metà degli interessati ha affermato di aver mantenuto, in linea di massima, gli stessi orari dell’ufficio; solo pochi, invece, hanno impostato una sua diversa distribuzione nell’arco della giornata, oppure utilizzano anche ore notturne (a tutti, comunque, capita occasionalmente di fare un po’ di lavoro “fuori orario”, sabati e domeniche comprese). Le “fasce di reperibilità” giornaliere per i collegamenti con l’azienda si concentrano soprattutto nella mattinata, mentre sono pochi quelli che preferiscono il primo pomeriggio: si osserva, in definitiva, che il maggior impegno lavorativotende a collocarsi soprattutto in una fascia mattutina “allargata”, che va pressappoco dalle 9 alle 15.

6?Alcuneconsiderazioniconclusive

Il fatto stesso che dall’esperimento non si sia ancora passati ad un inserimento stabile ed esteso del telelavoro domestico in azienda – ciò che continuiamo a considerare in futuro inevitabile, come inevitabile sarà una vera diffusione nel nostro paese – è comunque significativo delle difficoltà intrinseche, che sono essenzialmente di tipo culturale e investono tanto i singoli e il loro modo di rapportarsi al lavoro, quanto l’organizzazione (e cioè i “capi” e la concezione che questi hanno di sé stessi e del loro ruolo).

Volendo sintetizzare al massimo la questione, si può enunciare questa banale, ma non per questo meno vera, conclusione fondamentale: per fare il telelavoro occorre avere un buon motivo per farlo. 

L’esigenza di attuare un progetto di telelavoro può avere molte motivazioni, ma, probabilmente, non sarà quasi mai avvertita, in condizioni “normali”, dal responsabile di una specifica area di attività per i lavoratori che dipendono direttamente da lui, né da un numero significativo di questi ultimi. Ciò, crediamo, è tanto più vero per realtà industriali come la nostra, dove esiste una lunga tradizione di “fabbrica”: lavorare in una organizzazione di questo tipo ha sempre significato entrare al mattino timbrando il cartellino, occupare un posto di lavoro, interagire col capo e coi colleghi e svolgere la propria attività sotto l’occhio, con la guida e con il controllo dell’azienda. 

Questo vale, naturalmente, anche per i capi. Non solo perché ognuno di noi ha comunque un capo, ma perché la gestione del personale direttamente coordinato e della relativa attività si concepisce come la possibilità di poter intervenire in qualsiasi momento su di essa, per valutarla, correggerla, accelerarla o modificarla, insomma averne quel controllo diretto e “visivo” che può ovviare alle carenze della pianificazione, e talvolta sostituirla del tutto.

Questo meccanismo - insieme, probabilmente, a quell’altro, fondamentale ma difficilmente confessato, della paura della perdita del ruolo e magari, in prospettiva, della posizione stessa - sembra essere scattato anche in Italtel quando dalle ipotesi di introduzione del telelavoro si è passati ad un progetto concreto. Abbiamo già fatto cenno alle reazioni di molti responsabili di funzione, che hanno escluso anche la possibilità di coinvolgere alcuni dei loro capi operativi per convincerli a partecipare con l’area da loro gestita alla sperimentazione (lagiustificazione è quasi sempre stata l’impossibilità di mettere a rischio attività di importanza strategica introducendo questo potenziale elemento di “turbativa”).

Ciò detto a livello generale, condensiamo in queste ulteriori considerazioni il succo della nostra esperienza diretta e delle riflessioni:

?a?non ci sono , come spesso succede,“interdizioni” tecniche significative; anzi le nuove funzionabilita’ disponibili sono in grado di ampliare di per se’ questa modalita’, addirittura in modo “sommerso”. 

?b?ci sono ancora problemi di costi di comuncazioni, sarebbe opportuno per le aziende in telelavoro un sistema tariffario specifico (come il “numeroazzurro” Internet);

?c?un aspetto importante, ma sottovalutato è il “servizio” che l’azienda deve garantire ai telelavoratori (che per di più ne hanno diritto anche fuori orario …);

?d?le modalità’ di gestione di questo tipo di personale deve essere per forza per obiettivi, e obiettivi misurabili;

?e?se veramente il telelavoro va inteso come un’opportunità (dalla sostenibilità dello sviluppo alla motivazione dei lavoratori) non può essere come una “bieca” riduzione di costi, né tantomeno come un sistema punitivo o “espulsivo”;

?f?l’aspetto culturale del “capo” che vuole “vedere” le risorse (non si fida?) è – lo ribadiamo ancora! – ilproblema aziendale più grosso.



[1] Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell’Emilia Romagna - Srl.
[2] Elaborazione di modelli matematici per la valutazione delle prestazioni di componenti e sistemi.
[3] Il giudizio negativo sembra peraltro da riconnettere a un’unica motivazione di fondo, quella che ha indotto il lavoratore in questione a rinunciare, e cioè l’isolamento, ovvero la mancanza dell’ambiente di lavoro e del contatto continuo con i colleghi (probabilmente non è casuale che si tratti dell’unico single del gruppo).